Radio Alice


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12 marzo 1977: le ultime parole di Radio Alice

Le nostre storie: "la meglio gioventù"







Anime


Nel febbraio del 1976 era nata Radio Alice, dopo molti mesi di fantasiosa gestazione.
C'erano almeno due anime, forse tre, all'origine di quella radio. C'era un'anima eticamente intransigente e controinformativa. E c'era un'anima poetico-libertaria.
Ki informa ki? Diceva la prima anima.
Zut è divenire perfettissimo perfettissimo è divenire Zut diceva la seconda.
Si tenevano conciliaboli e la notte si facevano prove di trasmissione. Poi si salì sui tetti e nelle mansarde e si lanciarono i primi segnali verso il mondo in ascolto.
Il mondo sbigottì, il Resto del Carlino disse che Radio alice trasmetteva messaggi su carta igienica, e che erano messaggi osceni. Luciano e Ambro composero un manifesto bellissimo, con una lunga gru disegnata da Rodzenko o da El Lisitski, e un piccolo Lenin che si sporgeva lassù in alto, e sotto la gru un muro con su scritto "Poter…peraio" e una breccia nella quale attraverso la scritta interrotta si precipitavano strombettanti suonatori psichedelici alla moda di Sergent Pepper e Yellow Submarine.
Di mattina si udivano mantra e lezioni di yoga e la voce di un cantautore napoletano che suggeriva:
Lavorare con lentezza
senza fare alcuno sforzo
ritmo pausa pausa ritmo
pausa pausa pausa pausa pausa pausa…
Lavorare con lentezza
Senza fare alcuno sforzo
Il lavoro ti fa male
E ti manda
All'ospedale
Lavorare con lentezza
senza fare alcuno sforzo
La salute non ha prezzo

E così via sabotando.
Sabotare la produttività era certamente il principale obiettivo politico, se questa parola può avere un senso.
E il risultato non si fece attendere. Risulta che in quesgli anni gli operai italiani abbiamo realizzato quantità strabilianti di ore di malattia, o meglio di assenza, o meglio di assenteismo, o meglio di autonomia.
A marzo arrivarono i biechi blu nella casa di uno della redazione. Lo arrestarono con l'accusa (non molto originale per quei tempi) di partecipazione a banda armata (quale?) Subbuglio.
Non c'erano armamenti a Radio Alice, non c'era banda armata in quei paraggi. Eppure i biechi blu trovarono agendine e rubrichette e numerini di telefonuccio e spedirono in carcere qualcuno.
La radio emise ululi di guerra, e chiamò tutti in piazza per una festa alle repressione. Giunsero in diecimila col materasso, le pentole i divani e tuttecose. Occuparono la piazza ed i dintorni.
L'arrestato fu in seguito rilasciato per manifesta infondatezza delle accuse.
Ferveva primavera e dalle antenne sibilavano suoni seducenti.
All'ora di pranzo c'era Filippo che leggeva racconti di Ambros Bierce, terrificanti e ributtanti e orridi. La sera si riuniva negli studi celesti della radio una piccola folla di suonatori. E qualcuno col flauto suonava un motivetto commovente. E qualcuno leggeva Majakovski. E squillava il telefono, e le voci seguivano alle voci. 
Il direttore partì per Mcleod Ganj con un redattore dai capelli ricci. Si fermarono a Lahore, pare, e poi a Jaipur, e mandarono cartoline intinte nella cannabis.
Poi venne estate e sciamarono i redattori verso Parco Lambro. Laddove oggi sorge la più grande necropoli del nord, a quelle'poca brulicavano esseri umani. Vivi, talvolta. Re Nudo, Valcarenghi, Schianchi Noia Sassi chiamavano a raccolta le truppe degli scalcagnati di tutta la penisola. E gli scalcagnati arrivarono. Merda, in quanti arrivarono. E quanto scalcagnati è difficile dirlo.
Alberto Grifi registrò con la sua telecamera sperimentale sei ore di immagini bestiali. Concerto, poesie urlate, nudificazioni di massa, balli orfici e sabba diabolici. E infine l'assalto belluino al camion carico di polli congelati. 
I celesti redattori rientrarono a Bologna leggermente schifati dall'happening brutale che il proletariato giovanile aveva messo in scena. Fu allora che nacque l'idea di rilanciare il grido: abbasso l'arte abbasso la vita quotidiana abbasso la separazione fra l'arte e la vita quotidiana, che Tristan Tzara aveva lanciato sessant'anni prima.
Il direttore, rientrato nel frattempo dall'Himachal Pradesh scrisse il poema "Cloacale" che ancora si studia nelle scuole del Regno.
L'estate continuava sulle strade assolate dell'Umbria e si accendevano torce ascoltando Archie Shepp e Michel Taylor ..... 
(testo tratto dalla home page di www.radioalice.org)



26 feb 1977 Festa di Radio Alice (foto di Enrico Scuro)
sito e immagini di E.Scuro

1977-2011 la lotta...continua



NADiRinforma: in occasione del 34° anniversario dell'omicidio di Francesco Lorusso, studente universitario, militante di Lotta Continua, ucciso da un colpo d'arma da fuoco durante gli scontri di Bologna del marzo '77, il 12 marzo 2011 si ritrovano in piazza a ricordarne la memoria i militanti di allora insieme ai giovani di oggi.


















  • (5,6 MB)  (Trascrizione) >>> qui <<<

    ANTEFATTO: verso le 11 di sera del 12 Marzo, in radio ci sono una ventina di compagni, si discute degli scontri e della situazione di piazza, sia in onda, sia fra persone.
    Al momento la città è calma, le forze dell'ordine si sono ritirate dalla zona universitaria e sembra che si stia andando verso una riduzione del livello dello scontro.
    All'improvviso dei violenti colpi alla porta annuciano l'arrivo della polizia, i compagni decidono di fuggire dai tetti, in redazione rimangono Valerio e Mauro Minnella per proteggere le apparecchiature e Antonio Fresca e Paolo Saponara (occasionalmente presenti anche se non sono redattori della radio) che non se la sentono di affrontare nel buio i tetti di Bologna.
    Franco  "Bifo" Berardi in diretta da via del Pratello


    Le inquiline di Radio Alice




    In quei 40 metri che hanno sognato la rivoluzione
    di Michele Smargiassi



    Lì dove Sara va a dormire ogni sera, proprio lì dove adesso c' è il suo cuscino col disegno di un gattone, lì c' era la consolle del diavolo. Alice era il diavolo. Da qui Radio Alice turbava i sogni dei benpensanti e nutriva i sogni dei desideranti. Il bene e il male di Bologna ' 77 sono cominciati qui, in questa stanzetta mansardata «a un passo dal cielo blu», dove una radio «libera ma libera veramente» nacque al suono dei Jefferson Airplane e morì, come si conviene, con Beethoven.

    Negli incubi degli inquirenti, ma anche nel mito dei militanti, Radio Alice assurse a dimensioni di fortezza, di rossa piazzaforte di pirati. Saranno neanche quaranta metri quadri in tutto. Stretti per contenere un ricordo così ingombrante. Quasi larghi per due studentesse fuorisede. Corridoio, tinello con angolo cottura, bagnetto, corridoio, ampio ripostiglio, un piccolo paradiso baciato dal sole. «è stato una fortuna trovarlo», dice aprendo la porta, biondina, gentile, un po' imbarazzata. Un anno fa mica immaginavano, Sara e la sua coinquilina, che fosse ben di più. Una specie di monumento in incognito.

    I luoghi hanno più memoria degli uomini. Dopo l' irruzione della polizia, la notte del 12 marzo 1977, in una città sconvolta dalla morte di Francesco Lorusso, Radio Alice 100.6 continuò a vivere, ma disincarnata. Come fantasma che si materializzava su questa o quella frequenza, come collettivo d' informazione, radio davvero eterea, suggestione, riferimento, simbolo. Dove avesse vissuto per un anno e un mese, non importava più tanto. Via del Pratello 41, un portico che si restringe di colpo davanti a un Cristo cupamente affrescato. Un portone di legno chiaro, sicuramente rifatto. Cortiletto, due scale candide coi gradini di cotto. Proprio un bel posticino, si dissero un anno fa le due amiche, matricole fresche di Scienze politiche e Filosofia. 



    La padrona di casa non accennò ai trascorsi rivoluzionari dell' appartamento. «Meno male, magari avrebbe potuto chiederci di più...». Forse temeva il contrario, chissà. In ogni caso pagano abbastanza, 320 euro a testa, «ma ne valeva la pena». Tendine alle finestre, poster, ninnoli: la casa di due ragazze senza genitori al seguito. Ma i luoghi, appunto, hanno una memoria tutta propria. «Un giorno andiamo a vedere Lavorare con lentezza», il film su Radio Alice, appunto. «I posti nel film sono diversi. Però alla fine c' è un documentario. Si sente il nastro dell' irruzione. Gridano 'mandate gli avvocati in via Pratello 41' . Accidenti: è il nostro indirizzo! Ci informiamo meglio: accidenti, è proprio casa nostra!». 

    Adesso, a mo' di lapide commemorativa, c' è un vecchio volantino di radio Alice, scaricato da Internet, appiccicato al muro, di fianco al poster di Jim Morrison. «Oddìo che disordine...», Sara si precipita a nascondere un po' di maglie e calze in un cassetto, tira su il piumone, «di solito non è così», si scusa. Ma capisce che gli ospiti guardano, sì, ma vedono altre cose. L' abbaino dove alcuni dei redattori della radio scelsero di fuggire sui tetti. O quei segni sulla porta d' ingresso, che forse sono ancora le tacche del grimaldello con cui la polizia la spalancò. «è una responsabilità vivere qui...». 

    La Storia è capitata bene: Sara fa parte di un collettivo studentesco. «Ho letto qualcosa sulla radio, mi sono informata». Come te la immagini? Erano geni o teppisti? «Era una cosa creativa, non ne so molto però...», si schermisce. Sara ha vent' anni. La storia si lascia agli storici. Semmai, si ammira come un monumento. «Mi sono sempre chiesta perché nessuno sia mai venuto a vedere. Lei è il primo». Vedere cosa? «Il posto. è importante». Come avesse scoperto di abitare nella casa natale di Garibaldi. «Ho anche parlato con Bifo, l'ho invitato a venire a trovarci. è un luogo che per lui dev' essere stato decisivo. Non è ancora venuto». La memoria, Sara, a volte è più ingombrante della storia. Il signor Luigi Morsilli per esempio ricorda tutto.

    Lui c' era. Era ed è l' inquilino del primo piano. «Quella radio ci fece ammattire», confessa. Per molti Radio Alice era un problema politico: per lui, condominiale. «Musica a tutto volume, risate, urla, gente su e giù per le scale a tutte le ore. Salivano sul tetto a piantare l' antenna e rompevano le tegole». Mica era nata studio radiofonico, quella mansardina all' ultimo piano, «Era un appartamento per studenti anche trent' anni fa. Furono loro a prestarlo alla radio». Discussioni, litigi. «Io volevo dormire, ero impiegato, andavo a lavorare la mattina». Ma andava peggio coi quelli del piano di sotto, «studenti di Comunione e liberazione. S'immagini. Una volta quelli della radio gli rovesciarono un secchio di escrementi davanti alla porta». 

    Quando sgomberarono, per lei fu una liberazione, allora. «Ma io non voglio male a nessuno. La politica non m' interessa. E poi dopo ci sono venuti i Radicali ed è stato anche peggio, bivacchi e sacchi a pelo dappertutto». Poi, negli anni Ottanta, anche la «tana degli esseri strani», come tante altre cose nel mondo, fu normalizzata, tornò ad essere una fonte di reddito immobiliare. «Peccato però», dice Sara, «che si perda tutto. Al collettivo avevo proposto, magari, di farci di nuovo dentro una radio». «Per carità...», s' ode dalla tromba delle scale la voce allarmata di Morsilli.

    (03 febbraio 2007)




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    di Andrea Quercioli

    adattamento testi e immagini di Kishanna09