il sequestro Grazioli

Banda della Magliana: il sequestro Grazioli - prima parte


Uno dei fatti più discussi e misteriosi degli Anni di Piombo. 

Protagonisti: l'organizzazione criminale che ha imperversato per almeno 15 anni nella capitale e un nobiluomo di illustre discendenza che aveva visto troppo. 

La Cornice: anni d'incredibile violenza, una capitale la cui notte veniva illuminata dalla bella vita di criminali e personaggi noti. 
L'epilogo: drammatico. 

1977, è il 7 novembre. A palazzo Grazioli giunge una telefonata di rivendicazione del rapimento di suo padre, il duca Massimo Grazioli Lante della Rovere. Risponde il figlio del duca, Giulio e i rapitori gli chiedono l’incredibile cifra di 10 miliardi di lire. Pur benestante e altolocata la famiglia del duca non dispone di tale cifra al momento. Cominciano i negoziati. 
I negoziati… ma con chi? Chi sono gli interlocutori dai quali Giulio Grazioli sta negoziando la vita di suo padre? 
Racconta la leggenda che nel 1976 un giovane malvivente della “batteria” di Trastevere, Franco Giuseppucci, detto Er Fornaretto, poi Er Negro, sta trasportando armi per conto terzi quando un giorno si fa rubare l’auto mentre prende il caffè in un bar. Le armi sono dell’amico e compagno di batteria Enrico De Pedis, detto Renatino, un giovanotto che gode di un certo rispetto presso la mala romana. Giuseppucci naturalmente trova, e punisce, il ladro ma le armi quello le aveva già vendute a un certo Maurizio Abbatino, detto Crispino, anch’egli un giovane rapinatore di tutto rispetto a capo di una batteria che ha sede in via della Magliana. Giuseppucci e Abbatino sono spregiudicati e intelligenti, invece di battersi trovano un accordo e decidono di compiere insieme alcuni colpi. Nell’affare rientra anche il vecchio proprietario delle armi rubate, De Pedis. 

La Banda della Magliana
Da questo momento si può considerare nata la “banda della Magliana”, una novità per la mala della capitale fino a quel momento divisa in bande (dette batterie) e senza un’organizzazione programmatica. Nasce nelle loro teste l’idea di un’organizzazione per il controllo della malvivenza nella capitale, una specie di Cosa Nostra romana attuata da romani. Le bande non più rivali ma unite e ordinate, portano a compimento azioni criminali pianificate ed elaborate. Il mercato da spartirsi è immenso: gioco d’azzardo, rapine ma soprattutto droga, fino a quel momento controllata da mafia e camorra. 
Il raggiungimento dell’obbiettivo di Giuseppucci e Abbatino necessita però di soldi, molti soldi, per le armi, i primi carichi, gli informatori, i pali, i documenti e le coperture. Attuare il “sogno” costa e le rapine non bastano: oltre ad essere pericolose, qualcosa può sempre andare male e qualcuno può concludere i suoi giorni sull’asfalto, sono poco remunerative rispetto ai “colpi” che stanno realizzando i sardi per esempio, nel nord Italia e in Sardegna, i sequestri di persona. 




La prima operazione importante della Banda della Magliana porta il nome del duca Massimo Grazioli Lante Della Rovere e prende il via il 7 novembre 1977. 

Il racconto del rapimento del nobiluomo lo farà l’Abbatino stesso anni dopo, arrestato a Caracas nel 1992, quando tornerà in Italia e deciderà di collaborare con i giudici inquirenti sui fatti collegati alla banda della Magliana. Er Crispino, anche a causa della morte del fratello, vittima di una vendetta trasversale della banda, racconta ai giudici i segreti della banda della Magliana e racconta che per la sua batteria, quella di Trastevere, fu quello il primo colpo importante, mentre i “colleghi” della Magliana capitanati da Giuseppucci aveva già portato a termine altri sequestri. Le intenzioni dei sequestratori erano di racimolare un cospicuo capitale da reinvestire, con il fine di ottenere il denaro necessario a costituire un’organizzazione criminale di stampo mafioso a Roma. 
7 novembre 1977. Il duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere ha appena lasciato la sua proprietà di Settebagni, a nord di Roma, sulla Salaria. Secondo indiscrezioni giunte alla banda la famiglia della moglie, Isabella Perrone, ha appena venduto il quotidiano romano Il Messaggero, e il “duca Max” ha ricevuto in dono dalla consorte quella proprietà che lui ama tanto e segue personalmente. 
All’incrocio fra la Salaria e la Marcigliana, in via del Casale di San Nicola, località La Storta, due auto bloccano la BMW dell’aristocratico, alcuni uomini incappucciati l’obbligano a scendere e minacciano con i mitra Luigi Nanni, il fattore della tenuta che lo sta seguendo con la sua auto. 

Come riferirà lo stesso Abbatino al processo, il commando è composto di due auto, una Fiat 131 guidata da egli stesso e un’Alfetta con a bordo altri membri del nucleo originario della banda della Magliana: Franco Giuseppucci (er Fornaretto) del clan di Testaccio, Marcello Colafigli (detto Marcellone), Renzo Danesi, Giorgio Paradisi (Er Capece) e Giovanni Piconi. Il nobiluomo tenta di resistere ma i banditi lo caricano a forza a bordo di una delle loro auto, la Fiat 131. 
Mentre la famiglia riceve la prima telefonata dei rapitori, questi stanno abbandonando la Fiat sulla Cristoforo Colombo. Dopo di che l’ostaggio è portato in un appartamento a Primavalle, subito abbandonato perché non ritenuto sicuro. Le trattative, infatti, si rivelano più complicate del previsto. Il duca è trasferito in una località presso l’Aurelia. La neo-banda della Magliana forse ha fatto il passo più lungo della gamba, così mentre c’è chi si occupa di negoziare con i familiari sempre più angosciati, i capi decidono di far entrare nell’operazione una batteria di Montespaccato prima e una banda napoletana poi. 
Verso la fine dell’anno, il 29 dicembre giunge un’altra telefonata al figlio del duca, Giulio. Il telefonista è descritto da Abbatino come: “un uomo sulla quarantina, alto circa 1,75, biondo rossastro, stempiato, viso rotondo, occhi e incarnato chiari, senza barba ne' baffi, di corporatura normale, sul robusto". Abbatino non conosce la sua identità (o dice di non conoscerla), egli riferisce che l’uomo aveva un accento dell’Italia settentrionale e stava bene attento a mascherare la voce mettendosi una pallina da ping pong in bocca. 
I sequestratori esigono dieci miliardi di lire, sanno che la famiglia dispone di molto denaro e conoscono tutti i movimenti del duca e dei suoi familiari. Secondo le rivelazioni del collaboratore di giustizia il basista è un allibratore di Ostia che conosce personalmente Giulio, il figlio del duca, e ne condivide la passione per la caccia. Incredibilmente è stato proprio Giulio, personaggio mite anche se con la predilezione per le armi , a dare inconsapevolmente l’idea del rapimento all’allibratore. 
Abita ancora con i genitori, nel palazzo di famiglia edificato nel 1500. Figlio unico, di ottima cultura come il padre, il poco più che trentenne Giulio è appassionato di caccia e fotografia. Un giovane benestante che ama le auto e circondarsi d’amici. Fra questi c’è anche un certo Enrico Mariotti, proprietario di due sale corsa. Un tipo strano, dice Abbatino, e se lo dice lui… il Mariotti è un fascistoide amante della bella vita, incensurato, ha la passione per le armi e gira vestito con tute militari. E’ amico di Giulio e quando suo padre verrà rapito non lesinerà i suo “conforto” alla famiglia. Durante il rapimento i carabinieri indagano anche su di lui ma proprio quando stanno per inchiodarlo il Mariotti fugge all’estero e fa perdere le sue tracce. Infatti, per errore i carabinieri sono andati a bussare alla porta di un omonimo con precedenti penali. 




l 7 novembre 1977, Giulio sta tornando da New York ed è appena entrato in casa quando giunge quella spaventosa prima telefonata, fatta dal tipo alto 1.75 di cui Abbatino non conosce il nome e che parla con una palla da ping pong in bocca. La telefonata viene fatta mentre suo padre cerca di resistere al sequestro e i rapitori sono costretti a trascinarlo a forza nella 131 Fiat condotta da Maurizio Abbatino. 

Passano i giorni, passano le festività natalizie e cominciano a passare i mesi. I negoziati sono febbrili. Il giovane duca conduce le trattative con i rapitori. La famiglia cerca d’abbassare le pretese dei sequestratori. Il giorno di San Valentino del 78 rapitori e famiglia finalmente s’accordano per 1 miliardo e mezzo (alcuni dicono che i miliardi sono due). I banditi, dopo aver recapitato alla famiglia foto e messaggi comprovanti le condizioni piuttosto buone dell’ostaggio, ne annunciano la liberazione. Durante il mese di febbraio più di una volta hanno deciso i termini della consegna del denaro ma poi non si sono presentati all’appuntamento. I rapitori sanno che la famiglia Grazioli e costantemente tenuta sotto controllo dalla polizia e che non sarà facile mettere le mani su quei soldi. 


Il 4 marzo 1978: il giorno della grande illusione. Così lo chiama Giulio Grazioli Lante della Rovere quando racconta il rapimento del padre al giornalista del Corriere della Sera. 
Erano 15 mila biglietti da centomila lire pressati in una sacca pesantissima. Mi diedero istruzioni dettagliate. Mi fecero prendere la metropolitana, poi trovai un' auto rubata che ho usato per raggiungerli. Lungo la strada c'erano una serie di segnali che dovevo seguire.(NdA: erano bigliettini firmati Leone Rosso) Sono passati sedici anni, ma ricordo quel momento come fosse ora. Ero tesissimo, avevo una gran paura di non farcela"… "ai piedi di un segnale stradale, trovai la copia di un quotidiano firmata da mio padre. Riconobbi la calligrafia e tirai un respiro di sollievo. Credevo proprio che le nostre angosce stessero per finire. Mi avevano detto di gettare la sacca, e cosi' feci: dal basso si levarono le voci di due persone, che mi rassicurarono: "Torna a casa e aspetta - mi dissero - tuo padre sara' liberato nel giro di poche ore". Ero quasi felice, sentivo di essermi liberato di un peso. Quell' appuntamento era stato rinviato innumerevoli volte. Tornai a casa con la speranza nel cuore, mi illudevo di avere alle spalle i momenti peggiori… Invece, la vera tragedia doveva cominciare: aspettammo mio padre quella sera. E poi la mattina successiva. E poi ancora, ancora, per mesi interi. Non torno' piu' . Mia madre non s' e' mai ripresa. Si chiuse in casa e continuo' ad aspettare: e' morta nell' 88, uccisa dal dispiacere". (Corriere della Sera, 1993). 
Palazzo Grazioli a Roma - oggi sede della Presidenza del Consiglio
Quella sera Giulio, accompagnato da un amico, intraprende un drammatico tragitto che, gli hanno assicurato i sequestratori, porterà alla liberazione del padre. Si spostano per Roma seguendo le “briciole” lasciate dai banditi. Bigliettini volutamente sgrammaticati firmati da un fantomatico “Leone Rosso”. Finalmente giungono nei pressi di Civitavecchia. Un biglietto dice di fermarsi sopra un ponte. Due voci maschili provenienti dalla statale sotto il ponte intimano al giovane di buttare la pesantissima borsa con il riscatto. In cambio riceve una foto del padre con in mano un quotidiano recente. Gli dicono di tornare a casa ed aspettare il ritorno del padre. 
Il duca Max, come lo chiamavano un po’ tutti, dai familiari ai dipendenti, un uomo gentile ma risoluto, amante della campagna e specialmente di quella sua tenuta di Settebagni nei cui pressi è stato rapito, non farà mai ritorno a casa. 
Fino al 7 novembre del 1977 era una persona, poi è diventato una statistica. 

Nel 1993 Abbatino, rinviato a giudizio con altri otto membri della banda, per il rapimento e l’omicidio del duca Massimo, dice: "Venne ucciso perche' aveva visto in faccia uno dei carcerieri del gruppo di Montespaccato", ha detto Abatino, "noi non ci opponemmo all' esecuzione perche' correvamo lo stesso rischio di essere individuati". Possibile, certo, che qualcosa sia andato storto nella custodia dell’ostaggio. Sembra che al momento del pagamento il duca fosse ancora vivo, ma il fatto che ha portato alla sua condanna a morte potrebbe essere avvenuto in qualsiasi momento durante la prigionia 
Grazie alle rivelazioni di Er Crispino i membri del commando autore del rapimento e della detenzione di Massimiliano Grazioli Della Rovere vengono catturati uno ad uno. Nel dicembre del 1994 viene arrestato anche Giovanni de Gennaro, detto “faccia d’angelo, uno dei basisti. L’altro basista, il “giuda” come verrà definito dai quotidiano in seguito, Enrico Mariotti, fuggito alla vigila dell’arresto, verrà fermato a Londra nel 1995 e solo nel 2004 la magistratura italiana ne otterrà l’estradizione. E’ proprio lui l’amico al quale Giulio, ingenuamente, confida qualche particolare sulla sua famiglia, particolari che suggeriranno al Mariotti l’idea di un lavoro “facile” per gli amici della Magliana. 

Abbatino rimane vago anche sul luogo dell’ultima detenzione. Ai giudici dice: nel napoletano. Spiegazione a dir poco approssimata. Possibile che Abbatino non sapesse dove veniva tenuto il duca? Della dinamica del rapimento per esempio, Er Crispino, fornisce molti particolari, e sembra chiaro che vi abbia partecipato direttamente ma poi si perde nei “non so”. In ogni caso il 28 luglio 1995 si conclude il processo di primo grado. Nove condanne, di cui due all' ergastolo, per il sequestro e l' omicidio del duca Massimiliano Grazioli. “ Il carcere a vita e' stato comminato dal collegio presieduto da Filippo Giangreco ad Antonio Montegrande e Francesco De Gennaro. Per il solo reato di sequestro di persona ha condannato a ventidue anni di carcere Enrico Mariotti (tuttora latitante), a venti anni Giorgio Paradisi, Marcello Colafigli, Emidio Castelletti, Renzo Danesi e Giovanni Piconi, e a diciotto Franco Patracchi. Assolto, invece, per non aver commesso il fatto Stefano Tobia. Per tutti gli imputati il pubblico ministero Andrea De Gasperis aveva sollecitato la condanna all' ergastolo: secondo il rappresentante della pubblica accusa gli imputati dovevano essere messi tutti sullo stesso piano perche' erano tutti responsabili del sequestro e dell' omicidio del duca. Una tesi che la Corte d' Assise ha fatto capire di non aver condiviso. Per il solo Abbatino il pubblico ministero De Gasperis aveva richiesto una condanna piu' mite (ad otto anni e sei mesi”(ArchiviodelCorriere.it). Un anno dopo la corte d’Assise ribalterà in parte quella sentenza assolvendo tre membri della banda, proprio quelli accusati di essere i carcerieri e quindi i responsabili materiali dell’omicidio del duca. 
“Annullate, "per non aver commesso il fatto", le pesantissime pene (due ergastoli e una condanna a 18 anni) inflitte nel ' 95 ad Antonio Montegrande, Giovanni De Gennaro allora ritenuti responsabili della gestione e della tragica fine dell' ostaggio attribuita alla Banda di Montespaccato, e a Franco Catracchi, indicato come il telefonista.” (ArchiviodelCorriere.it) 

Nel dicembre di quello stesso anno viene fermato a Londra il basista vicino alla famiglia Grazioli, Enrico Mariotti. “Meccanico provetto, grande appassionato di auto fuoristrada e di armi, nella sua officina amatoriale di Ostia passavano tutti quelli che amavano pasticciare per hobby con i motori. Un po' fanatico, un po' fascista, girava per Roma vestito con delle strane divise paramilitari, spostandosi a bordo di un curioso fuoristrada anfibio a sei ruote” (ArchiviodelCorriere.it) “il mio consigliori” lo chiama Giulio Grazioli. Dopo il sequestro frequenta assiduamente palazzo Grazioli, arriva addirittura a fornire la famiglia di un sofistico apparecchio in grado di registrare le telefonate dei rapitori. Guadagnandosi la fiducia della famiglia è in grado di anticipare anche molte delle mosse degli investigatori e di riferirle alla banda. Nel febbraio del 78 gli investigatori intuiscono che vicino alla famiglia c’è una “talpa”, e questa potrebbe essere proprio il Mariotti ma commettono un errore clamoroso: la sera del fermo i carabinieri vengono mandati a casa di un omonimo con precedenti penali. Il Mariotti fugge all’estero ma non rinuncia a tentare di convincere Giulio della sua estraneità ai fatti. Il giovane Grazioli riceve molte telefonate dall’ex amico e confidente nelle quali egli giura di non avere niente a che fare con il rapimento del padre.
Poco dopo i rapitori s’accordano per il pagamento del riscatto, ma il duca non tornerà mai a casa. Sappiamo che in quella drammatica notte del 4 marzo 1978, mentre suo figlio girava per Roma con una borsa da 2 miliardi, il duca molto probabilmente era ancora in vita. L’esecuzione avverrà di li a poco. Ha visto in faccia uno o più carcerieri, forse proprio uno dei complici di Montespaccato.

Il corpo del duca non verrà mai ritrovato. Non conoscendo (o non volendo rivelare) il luogo della prigione, la confessione di Abbatino non è servita a molto in questo senso. Dopo 16 anni una famiglia angosciata conoscerà la sorte del suo caro ma alcuni misteri avvolgono questa drammatica vicenda e sembra che non verranno mai svelati [1]. Chi è lo sconosciuto con l’accento del nord che porta avanti le trattative con la famiglia: un uomo dei servizi? Possibile che la banda fin dall’inizio avesse contatti con i servizi segreti deviati, a loro volta in contatto con l’eversione nera? Anche il Mariotti aveva molte conoscenze negli ambienti politicizzati di stampo fascista ed essendo incensurato si rivela molto utile per la banda, fino all’organizzazione del rapimento Grazioli.

Sempre secondo la leggenda, il denaro del riscatto Grazioli servì a mettere in piedi il traffico di droga nella capitale. Traffico che garantì alla banda amicizie e connivenze anche altolocate, in quel mondo da cui la prima vittima illustre proveniva.

[1] dichiarazione di Maurizio Abbatino al processo contro la Banda della Magliana: «….il nucleo originario della banda, cosiddetta della Magliana, attesa la provenienza dei componenti da tale quartiere di Roma, era costituito da me, Giovanni Piconi, Giorgio Paradisi, Emilio Castelletti, Renzo Danesi, Franco Giuseppucci, Marcello Colafigli e Enzo Mastropietro. A tal proposito occorre però fare delle precisazioni. In particolare, negli anni precedenti il 1978, ognuna delle suddette persone operava o da sola o agrregata in gruppi più piccoli e diversi....
...io , Giovanni Piconi, Renzo Danesi, Enzo Mastropietro ed Emilio Castelletti, operavamo riuniti. Franco Giuseppucci, non si dedicava se non occasionalmente all’attività di rapinatore: egli era unito a Enrico De Pedis, il quale nel 1977 era detenuto, per una rapina, commessa anni prima con Alessandro D’Ortenzi ( Zanzarone), sicchè, rimasto di fatto solo, curava la custodia e la conservazione delle armi di pertinenza del De Pedis stesso. Giorgio Paradisi operava in coppia con tale “Bobo” del quale non ricordo le esatte generalità, nel settore delle rapine ai camion»


fonti e riferimenti:
Archivio Storico Corriere della Sera
" Cosi' fu ucciso il duca Grazioli "
il " Giuda " del duca Grazioli
Notte Criminale
La Vera Storia Della Banda Della Magliana - Raffaella Notarile con Sabrina Mainardi
processo alla banda della magliana rapimento grazioli (YouTube)
voci da wikipedia: Banda della Magliana, Palazzo Grazioli, Romanzo criminale, Maurizio Abbatino, Enrico de Pedis, Franco Giuseppucci,


testo originale di Kishanna09
adattamento di testo e immagini curato da misstremendina


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